Stop al cumulo delle donazioni per l’imposta di successione

La Corte di Cassazione, con una decisione inaspettata (sentenza 6 dicembre 2016, n. 24940), ha affermato che nell’applicazione dell’imposta di successione non si deve tenere conto delle donazioni effettuate in vita, e pertanto è sempre possibile usufruire per intero della franchigia prevista dalla legge (attualmente nella misura di un milione di euro per ciascuno dei discendenti in linea retta e il coniuge del defunto).
La Suprema Corte, infatti, ritiene che ai fini del calcolo dell’imposta di successione non sia applicabile la norma che prevede il cumulo delle donazioni effettuate in vita dal defunto a favore di ciascun erede, cioè il cosiddetto “coacervo” (art. 8, comma 4, del d.lgs. 346/1990).
Questa norma era dettata con riferimento all’imposta di successione articolata in aliquote progressive a scaglioni (cioè crescenti in proporzione al valore del patrimonio ereditario), e infatti dispone il cumulo delle donazioni pregresse “ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili”. Le aliquote progressive sono state però sostituite da aliquote proporzionali (legge 342/2000), che rimangono fisse indipendentemente dal valore del patrimonio ereditario, accompagnate da franchigie che consentono di non applicare l’imposta di successione fino al raggiungimento di determinati importi (un milione di euro per ciascuno dei discendenti in linea retta e il coniuge del defunto, 100mila euro per i fratelli e le sorelle). Poco dopo, l’imposta di successione era stata soppressa (legge 383/2001).
L’imposta di successione è stata poi reintrodotta dal primo gennaio 2006, facendo rivivere le disposizioni vigenti al 24 ottobre 2001 (d.l. 262/2006).
La norma sul cumulo delle donazioni pregresse non è stata però modificata, e fa ancora specifico riferimento alla “determinazione delle aliquote applicabili”, che ha senso solo nell’ambito di un sistema ad aliquote sono progressive.
L’Agenzia delle entrate ha sinora affermato che il cumulo delle donazioni pregresse previsto dall’art. 8, comma 4, del d.lgs. 346/1990 deve ritenersi ancora in vigore, non più per la determinazione delle aliquote applicabili, ma ai fini del calcolo della franchigia. La Cassazione, invece, facendo riferimento alla lettera della norma, non ritiene che questa preveda il cumulo delle donazioni pregresse nel calcolo della franchigia prevista per l’imposta di successione, e la considera pertanto implicitamente abrogata.
L’interpretazione fornita dalla sentenza della Suprema Corte riguarda espressamente il cumulo delle donazioni pregresse ai fini dell’applicazione dell’imposta di successione. Ricordiamo infatti che ai fini dell’applicazione dell’imposta alle donazioni, il cumulo è disciplinato da altra norma, secondo la quale il valore della donazione imponibile è maggiorato di un importo tale al valore delle donazioni anteriormente fatte dal donante al donatario (art. 57, primo comma, del d.lgs. 346/1990). Questa norma era stata appositamente modificata in occasione del passaggio dal sistema delle aliquote progressive a quello delle aliquote proporzionali con franchigie (legge 342/2000), quindi la sua formulazione risulta coerente con il sistema attuale.
In base a quanto affermato dalla Corte di Cassazione, il cumulo delle donazioni precedenti continua ad applicarsi alle donazioni, al fine del calcolo della franchigia, pertanto, quando sommando le donazioni già avvenute tra il donante e il donatario si raggiunge la soglia di esenzione, per la parte eccedente si applica l’imposta di donazione con l’aliquota proporzionale prevista dalla legge, mentre per il calcolo dell’imposta di successione non si deve tenere conto delle donazioni fatte in vita dal defunto all’erede, che può godere nuovamente della franchigia per intero.
Una conclusione che, seppure aderente alla lettera della norma, non sembra rispecchiare l’intenzione del legislatore, e quindi potrebbe non essere condivisa dall’Agenzia delle entrate, generando potenzialmente un notevole contenzioso.

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